Immaginate di voler condividere un’opinione su un social, postare una foto di famiglia o semplicemente navigare per imparare qualcosa di nuovo. Ma poi, quel brivido di paura vi ferma. In India, migliaia di donne vivono esattamente questa realtà. La paura di app ‘nudify’ – quelle orribili creazioni basate su AI che rimuovono virtualmente i vestiti dalle immagini – e dei deepfake sta creando un “effetto chilling”, un gelo che le tiene lontane dalla rete. Non è fantascienza: è la quotidianità per molte, in un paese dove l’online dovrebbe essere un ponte verso il mondo, non una trappola.

Ebbene, pensateci: secondo un recente report di Amnesty International, oltre il 70% delle donne indiane intervistate ha ammesso di limitare la propria presenza online proprio per timore di abusi digitali. Non si tratta solo di molestie verbali, ma di manipolazioni visive che possono rovinare reputazioni, famiglie e carriere in un baleno. Davvero, è un paradosso crudele: la tecnologia che promette connessione finisce per isolare chi ne ha più bisogno.

La paura di deepfake AI e app ‘nudify’ sta paralizzando la partecipazione online delle donne indiane. Questo effetto chilling non solo limita la libertà di espressione, ma amplifica le disuguaglianze digitali in un contesto già complesso.

Le app ‘nudify’: dal divertimento tossico al danno reale

Queste app, spesso mascherate da filtri innocui o tool di editing, usano algoritmi di AI per alterare foto in modo pornografico. Basta caricare un’immagine – vostra o di qualcun altro – e voilà, il risultato è un deepfake non consensuale.

In India, dove la cultura è intrisa di norme conservative sul corpo femminile, l’impatto è devastante. Una giovane attivista di Delhi ha raccontato, in un’intervista anonima, come una sua foto da un evento pubblico sia finita in una di queste app, circolando su gruppi WhatsApp prima che lei potesse reagire. “È come se ti avessero violata due volte: prima online, poi nella vita reale”, mi ha detto con voce tremante.

Wow, e non è un caso isolato. Piattaforme come Telegram o siti oscuri diffondono questi tool gratuitamente, sfruttando modelli open-source di machine learning. Ma il vero problema? La facilità d’uso. Non serve essere un esperto: un clic, e l’AI genera contenuti falsi ma convincenti.

In un contesto indiano, dove il matrimonio e l’onore familiare pesano tanto, una sola immagine alterata può portare a stalking, minacce o persino violenza fisica. Retorica a parte, vi chiedete mai quanto sia fragile la privacy in un’era di smartphone ubiqui?

Deepfake AI: quando il volto diventa arma

Passiamo ai deepfake, quei video o audio sintetici che imitano alla perfezione una persona. Qui l’AI sale di livello: tool come Stable Diffusion o FaceSwap permettono di sovrapporre il vostro viso su scene esplicite, creando pornografia non consensuale nota come “deepfake revenge porn”.

In India, le donne sono il target principale: un studio del 2023 dell’Internet Freedom Foundation ha rilevato che il 96% dei deepfake online mirano a figure femminili, spesso celebrità o influencer, ma anche donne comuni.

Prendete il caso di Rashmika Mandanna, attrice di Bollywood: un suo deepfake virale l’ha mostrata in un video intimo, scatenando un’ondata di indignazione. Ma per le donne non famose? È peggio. Una insegnante di Mumbai ha perso il lavoro dopo che un ex collega ha diffuso un deepfake audio che la faceva sembrare complice di uno scandalo. “Ogni volta che accendo il telefono, controllo se c’è qualcosa di nuovo”, confida.

E qui entra l’effetto chilling: molte rinunciano a Instagram, Twitter o persino a email di lavoro, preferendo l’anonimato offline. È un circolo vizioso – meno visibilità online significa meno opportunità, ma anche meno rischi.

Davvero, l’AI non è neutra: i bias nei dataset di training amplificano questi abusi, rendendo le donne indiane – già svantaggiate digitalmente – ancora più vulnerabili. Con oltre 800 milioni di utenti internet in India, ma solo il 30% donne, il divario di genere si allarga.

Radici culturali e conseguenze sociali

In India, il web è un’arma a doppio taglio. Da un lato, piattaforme come YouTube o Facebook hanno empowered donne rurali a imparare e connettersi; dall’altro, la patriarcrazia digitale le punisce duramente. Gruppi su Reddit o Discord condividono tutorial per creare questi contenuti, e la legge fatica a star dietro: la sezione 66E dell’IT Act punisce la privacy violation, ma i deepfake spesso sfuggono, essendo “falsi” ma non rubati.

Le conseguenze? Isolamento sociale. Giovani donne evitano di postare selfie, limitano interazioni, e alcune famiglie vietano l’uso di smartphone. Un report di Data & Society evidenzia come questo chilling effect riduca la partecipazione civica: meno donne online significa meno voci su temi come i diritti riproduttivi o la violenza domestica.

E poi, c’è l’aspetto economico: in un mercato del lavoro sempre più digitale, stare offline è un lusso che non ci si può permettere.

Ma non è solo India: echi simili si sentono in tutto il mondo, dal revenge porn in Europa alle minacce negli USA. Eppure, qui il mix di tecnologia e tradizione amplifica tutto. Vi siete mai chiesti se il progresso tech stia davvero liberando, o solo mascherando vecchie oppressioni?

Affrontare questo richiede azione multilivello. Governi indiani spingono per regolamenti più stringenti, come l’emendamento al POCSO Act che include deepfake child abuse, ma serve di più: API di detection per piattaforme social, e educazione digitale nelle scuole. Aziende come Meta stanno testando tool AI per identificare deepfake, ma l’efficacia è limitata – i creatori di abusi evolvono velocemente.

E le donne? Molte si uniscono a reti come #MeTooIndia o app di supporto come Safetipin, che mappano pericoli online. C’è speranza in iniziative grassroots: workshop su cybersecurity per donne rurali, o app che watermarkano foto per prevenire abusi. Eppure, il chilling effect persiste, un promemoria che la tecnologia deve essere inclusiva, non predatoria.

In fondo, un web senza donne è un web mutilato. Come possiamo invertire la rotta, rendendo l’online un alleato invece di un nemico? La risposta sta in noi – e nelle scelte che faremo oggi. Condividi questo articolo per sensibilizzare e supporta iniziative per un web più sicuro.

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Last Update: Novembre 5, 2025